martedì 19 settembre 2017

 


La battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718
di MASSIMO TRICAMO
 
Una recente approfondita ricerca a cura dello scrivente su periodici dell’epoca ed altre fonti coeve ha consentito di accrescere di gran lunga le informazioni raccolte a metà Ottocento dal barone Piaggia su quello che può essere considerato l’evento centrale del lungo assedio spagnolo del 1718/19. Punto di partenza è la dettagliata relazione redatta dal comando militare spagnolo all’indomani del combattimento. Compilata nel «campo sobre Melazo» il 16 ottobre 1718, fu subito inviata a Madrid, ove venne data alle stampe da Juan de Atiztia nella «Calle de Alcalà». Custodita presso la Biblioteca Universitaria di Siviglia (che si ringrazia per la gentile concessione), è intitolata Continuacion del diario, y progressos de las armas de España, en Sicilia, y del feliz sucesso que han logrado en la Batalla, que el dia 15 de octubre de 1718 se diò junto à Melazo. Di tale relazione circolò anche una traduzione in lingua francese - apparsa su Le Nuoveau Mercure del novembre 1718 - che presenta qualche lievissima modifica ed alcuni tagli negli elenchi delle perdite degli opposti schieramenti. Tale versione francese è stata a sua volta tradotta in italiano dallo scrivente, che la ripropone in coda al presente contributo (al §6), non senza anticiparne succintamente il contenuto.

Gli opposti schieramenti di fanteria e cavalleria Occorre premettere tuttavia la dislocazione delle forze in campo, venendoci in aiuto altre due preziose fonti citate nel precedente nostro contributo sulla cavalleria impegnata nell’Assedio. Il Foglio Straordinario del Corriere Ordinario del 9 novembre 1718 (pubblicato in Avisi italiani ordinari e straordinari dell’anno 1718, Vienna, appresso Gio. Van Ghelen) elenca i battaglioni di fanteria austro-piemontese schierati accanto alla cavalleria imperiale, ossia ai 6 squadroni di dragoni austriaci Tige comandati dal conte Giulio Veterani: un battaglione Guidobald von Starhemberg, 2 Maximilian von Starhemberg, 2 di Lorena, 2 Wallis, 2 Wetzel ed 1 Toldo, oltre ad un altro di truppe piemontesi, il Saluzzo. In tutto 11 battaglioni di fanteria, piuttosto che i 19 erroneamente indicati in un’altra fonte di straordinaria importanza per la battaglia in questione: la Primera parte de la guerra de Cerdeña y Sicilia del conte Pezuela (manoscritto del 1755 circa custodito presso la Biblioteca Nacional de España), dove al foglio 244 recto il numero complessivo dei dragoni Tige viene fatto ascendere ad un migliaio.
 
Reggimento Vecchio («Alt») Wallis, impegnato a Milazzo durante l'Assedio

Il reggimento di dragoni Lusitania, fondato dallo stesso Pezuela, fu presente a Milazzo sin dai primissimi arrivi di truppe spagnole nella Piana. Lo affiancò da subito il reggimento di cavalleria Salamanca, impegnato assieme al Lusitania nel blocco della Piazza di Melazzo diretto dal maresciallo di campo palermitano Domenico Lucchesi. Ad avviare l’Assedio, il Sitio de Melazo per dirla con gli Spagnoli, fu dunque la cavalleria (cfr. Primera parte cit, f. 238 r.). Nel rammentare queste prime fasi il Pezuela non manca di evidenziare l’atteggiamento disinvolto dei Milazzesi - come si evince peraltro nel manoscritto del Barca - i quali entravano ed uscivano da Porta Messina, dunque dal centro urbano, senza alcuna prudenza («que salían y entravan en la Plaza sin embarazo ni cautela»). I rinforzi giunsero al Lucchesi all’indomani della capitolazione di Messina, da dove arrivarono le truppe impegnate poco prima nelle operazioni belliche condotte in riva allo Stretto. Tali truppe erano il secondo battaglione di Cordova ed i primi di Burgos e Navarra, ai quali il 5 ottobre 1718, al comando del Tenente Generale José de Armendáriz y Perurena marques de Castelfuerte (Pamplona 1670 – Madrid 1740), si aggiunsero le Guardie Spagnole, il reggimento di Castiglia ed i dragoni di Batavia (cfr. Primera parte cit, ff. 237 v. e 238 v). Sempre secondo la testimonianza di Pezuela, giorni prima, il 28 settembre, era arrivato invece il conte di Zueveghem con 5 battaglioni: due di Guadalajara, uno di Aragona, uno di Borgogna ed uno di Milano (ivi, f. 239 r). Infine, alla vigilia della battaglia (13-14 ottobre), giunse prima Don Geronymo de Solis y Gante, futuro governatore di Malaga, coi 3 reggimenti che costituivano la Brigata d’Irlanda (i reggimenti Ultonia, Ibernia ed Irlanda), e successivamente il vicerè marchese di Lede assieme ad alcuni generali, a Don José Patiño Rosales (1666-1736) ed al reggimento di cavalleria Farnese (Primera parte cit, f. 240 r). Come attesta la citata relazione spagnola, assieme alla Brigata d’Irlanda giunsero pure le Guardie Vallone.
 

Ritratto del 1878 - custodito al Museo del Prado - di José Patiño Rosales (Milano, 1666 - La Granja, Segovia, 1736). Trattasi di copia dell’originale di Jean Ranc (1674-1735)

 


 

 
Iniziano le ostilità: il fuoco delle quattro galee napoletane Si giunse così al fatidico 15 ottobre 1718, giorno del sanguinoso combattimento (la sangrienta funcion de Melazo), con uno schieramento spagnolo composto complessivamente da «14 battallones, dos regimientos de cavalleria y dos de dragoner» (ivi, f. 241 r). Così descriveva il Barca l’inizio delle ostilità: «principiandosi la battaglia nel fossato di detti Spagnuoli fatto nella contrata di San Giovanni, ritrovandosi pure per aiuto di dette nostre truppe nel mare da dietro, un puoco distante dalla ripa, quattro galere di Napoli con una tartana corsara con cannoni da battere, per essere state previste per tal effetto dal signor Generale Carraffa la sera antecedente».

Il riferimento al «mare di dietro» - come viene ancor oggi indicato dai Milazzesi il mar di Ponente - non lascia dubbi sull’ubicazione dei navigli di supporto alle truppe austro-piementosi, il cui scopo era quello di disturbare dal mare, col fuoco continuo delle artiglierie, l’azione del nemico. Secondo la citata relazione spagnola l’ordine di avvicinamento a riva alle galee napoletane ed alla tartana non fu dato dal Carafa, ma dal Veterani, il quale fece disporre altri navigli anche sul versante di Levante, allo scopo d’intimorire gli Spagnoli simulando uno sbarco di truppe. Il fuoco delle galee, come ricorda il Barca, fu determinante per il salvataggio delle truppe imperiali, le quali sarebbero state destinate a soccombere al termine della battaglia malgrado un vantaggio iniziale. E furono proprio i cannoni di tali galee ad aprire le ostilità: «Dando dette galere con la tartana sudetta la battaglia col disparo di più cannoni al campo spagnuolo» (Barca). Orario dei primi spari, le 5 del mattino (così al f. 244 v. del suo manoscritto il Pezuela, il quale conferma che l’avvio della battaglia scaturì dallo sparo delle artiglierie delle galee, oltre che della Piazza).

L’elegante pianta in lingua francese pubblicata ad Amsterdam da Joachim Ottens poco prima della sua morte avvenuta intorno al 1721 (Veritable plan de la forte resse de Melasso etc. etc) raffigura nel lungomare di Ponente, con tanto di nuvolette attorno ai cannoni, proprio le quattro galere di Napoli che spararono sulla sinistra dell’accampamento spagnolo il 15 ottobre («quatres galeres de Naples qui firent feu sur les Espagnols le 15 octobre»).

Il combattimento osservato dalle alture La descrizione che fa il Barca dei primi momenti della battaglia è alquanto suggestiva, con un bella giornata che offriva un’ottima visibilità ai cittadini intenti ad osservare il combattimento dalle alture, soprattutto dalla cittadella fortificata: «puotendosi con ogni franchezza distinguere gli combattenti ad uno ad uno e di fanteria, e di cavalleria». E coi nuvoloni di fumo, prodotti dalle artiglierie, che ad un certo punto avvolsero il campo di battaglia ostacolando la visuale.

L’attacco austro-piemontese alla postazione avanzata di S. Giovanni Ma torniamo alla citata relazione spagnola custodita presso l’Università di Siviglia e lasciamo che sia essa a guidarci nella sequenza del combattimento. Punto di partenza, come peraltro scrive il Barca, è il quartiere di S. Giovanni, dove in prossimità dell’omonima chiesa si trovava la postazione più avanzata degli Spagnoli.
 
Don Manuel de Sada y Antillón (Tudela?, Navarra 1677 - Valencia 1764)

La «casa de S. Juan», come la indica il Pezuela nel suo manoscritto (f. 245 v.), era una postazione avanzata, un forte. Difatti nel gergo militare spagnolo dell’epoca, i termini casa e casafuerte sono sinonimi di fortaleza. E proprio in soccorso di tale postazione avanzata e dei plotoni che la presidiavano giunsero all’alba del 15 ottobre, con un centinaio di uomini, il già citato conte di Zueveghem e Don Manuel de Sada y Antillón (Tudela?, Navarra 1677 - Valencia 1764), quest’ultimo colonnello del reggimento di Aragona. L’azione, scaturita dall’attacco nemico, fu però sfortunata per gli Spagnoli che, malgrado «una vigorosa resistenza», perdettero il controllo della casa de S. Juan, senza considerare le perdite in termini di morti e feriti, oltre alla cattura di parecchi soldati ed ufficiali: tra questi il capitano comandante delle Reali Guardie Vallone nonché conte di Zueveghem Carlos Jose de Jauche y de Archies, nato a Gantes (Paesi Bassi) il 12 dicembre 1681, indubbiamente il più alto in grado tra i militari spagnoli catturati quel giorno dagli austro-piemontesi (cfr. anche Pezuela, Primera parte cit, ff. 245 v. e 246 r).

Gli accampamenti militari degli Spagnoli e degli Imperiali Incoraggiati da questo primo successo, gli Imperiali proseguirono la propria avanzata attaccando e conquistando a Ponente la sinistra del campo spagnolo e, più il là, il suo centro. Occorre tuttavia premettere che il campo spagnolo fu allestito originariamente lungo l’odierno tracciato della SS113, tra la contrada Belvedere (allora territorio comunale di S. Lucia, oggi invece ricadente nel Comune di S. Filippo del Mela) ed il Comune di Merì. A Belvedere, inoltre, aveva sede il quartiere generale spagnolo. Ne fa fede un bando emesso dal maresciallo di campo Domenico Lucchesi in data 29 luglio 1718 (trascritto dallo scrivente in coda al capitolo 2 della trascrizione del Barca), bando dove appunto si apprende che il campo era «situato in mezzo di Limiri e Belvedere».

Successivamente, il sopraggiungere tra settembre e metà ottobre di nuovi battaglioni di fanteria e di ulteriori reggimenti di cavalleria e dragoni rese indispensabile trasferire il campo spagnolo nel bel mezzo della Piana. La cartografia coeva colloca infatti  tale accampamento dal mar di Levante, in prossimità degli odierni impianti e serbatoi della Raffineria, al mar di Ponente, in prossimità - più o meno - dello sbocco dell’attuale via Rio Rosso. Ragion per cui, considerando che il conflitto ebbe luogo tra la postazione avanzata di S. Giovanni (casa de S. Juan collocata nelle vicinanze della chiesa rurale della contrada) e la sinistra ed il centro del campo spagnolo, si può approssimativamente localizzare il teatro dei combattimenti del 15 ottobre 1718 nella vasta porzione di territorio comunale compresa tra via Orsa Maggiore e via Rio Rosso, soprattutto in prossimità del lungomare e degli impianti sportivi di Fondaco Pagliara e Fossazzo, come attesta peraltro la suggestiva raffigurazione bilingue dello Schenk (Pugna pugnata inter Caesarianos et Hispanos ad Melas in insula Sicilia 15 octobr. 1718).

Il centro dell’accampamento spagnolo era ospitato in contrada Barone: «formandosi regolatamente detto campo nella contrata del Barone, colla latitudine che dava d’una ripa da Levante all’altra a Ponente» (Barca). Tra i cronisti dell’epoca non manca chi fa arretrare tale campo sino alla retrostante contrada S. Pietro, allora denominata Spadafora. È il caso di Don Antonio de Alós y Ruis (Barcelona 1693 - Barcelona 1780), amico del conte Pezuela, marchese di Alós e testimone oculare della Battaglia di Milazzo, alla quale partecipò nella qualità di alto graduato dei dragoni di Lusitania. Nel ricordare succintamente la sequenza dei combattimenti del 15 ottobre - perdita dell’avamposto di S. Giovanni e cannonate delle galere napoletane verso la sinistra del campo spagnolo («galeras de Napoles que ofendian nuestra izquierda») - il marchese, affetto da strabismo, non mancava di citare le Guardie Vallone, dimenticate da Pezuela nell’elencazione delle truppe in arrivo tra settembre ed ottobre ed accampate la notte precedente a Espadafora (S. Pietro, appunto), e la Brigada d’Irlanda, la quale essendo giunta alla vigilia della battaglia non disponeva ancora d’una postazione nell’accampamento e rimase nelle retroguardie prima di passare all’attacco. Don Antonio de Alós y Ruis ricordava infine - nella propria operetta pubblicata a Palma de Mallorca nel 1767 (pagg. 54-57) - le perdite subite dal reggimento Lusitania: alla sola sua compagnia la battaglia del 15 ottobre costò ben 17 cavalli. «Esta funcion, que fue muy reñida, y sangrienta se llamò Batalla del Melazo, costó mucha gente à ambos Exercitos: los Dragones de Lusitania, que con indiscreto tesón (obrando más el valor, quel la conducta) quisimos mantenernos siempre bajo el fusil de la Linea enemiga, fuimos de los que más sufrieron». Una coraggiosa ostinazione nell’attaccare il nemico che a Milazzo fece dunque soffrire parecchio i dragoni di Lusitania.
 
 Don Antonio de Alós y Ruis (Barcelona 1693 - Barcelona 1780)
Guardie Vallone, 1700-1703

Ben altra era infine la dislocazione del campo imperiale, ubicato sempre a Ponente tra il convento di S. Papino e la Grotta di Polifemo, anche se non mancano nella cartografia dell’Assedio indicazioni di altri accampamenti al Promontorio. Ufficiali e soldati di uno dei battaglioni del reggimento Saluzzo dei Piemontesi erano invece ospitati all’interno della cittadella fortificata, ove già lo stesso Saluzzo era stato assegnato - agli ordini del Luogotenente Colonnello Giovanni Battista Missegla - prima dell’invasione spagnola della Sicilia.

Prima di chiudere questa lunga parentesi sugli accampamenti, conviene riportare un gustoso particolare riferito in una lettera del 7 novembre 1718 apparsa sul Mercure Historique et Politique: «gli Spagnoli che si trovavano davanti questa Piazza [di Milazzo, ndr] erano pochi ed infastiditi nel proprio campo dalle piogge continue e dai rivoli d’acqua che discendevano dalle montagne».

L’attacco alla sinistra ed al centro della linea spagnola Ma torniamo alla sequenza della battaglia, così come illustrata dalla relazione spagnola custodita alla Biblioteca Universitaria di Siviglia. Incoraggiati dalla conquista della postazione avanzata di S. Giovanni, le truppe austro-piemontesi proseguirono la propria avanzata attaccando il centro e (a Ponente) la sinistra della linea spagnola.

L’attacco fu diretto in particolare alle postazioni di centro-sinistra occupate dai battaglioni di Milano, Guadalajara, Castiglia, Aragona ed Utrecht, quest’ultimo omesso nell’elencazione delle truppe in arrivo dal Pezuela, che però aggiunge in questa fase la presenza del reggimento di cavalleria Salamanca e del reggimento di dragoni Lusitania, che assieme al Milano presidiavano l’ala sinistra del campo. Gli Imperiali riuscirono ad avere la meglio e, cacciando il nemico, riuscirono a penetrare nel campo spagnolo occupandolo. Ma le truppe di Filippo V riuscirono ben presto a riconquistare le proprie posizioni, facendo arretrare gli austro-piemontesi, che ritentarono l’attacco altre due volte. Al terzo tentativo finalmente riuscirono ad impossessarsi della sinistra del suddetto campo.
 
 L'Ammiraglio Byng e, in basso, la sua lettera sulla Battaglia di Milazzo
 

 
 
 

Il saccheggio del campo spagnolo A questo punto la relazione spagnola tace stranamente su quanto accadde nel campo spagnolo dopo l’invasione degli austro-piemontesi, i quali, credendosi vittoriosi, si abbandonarono al saccheggio: «Onde quantità delle nostre truppe correndo vittoriosa sin al sudetto campo, incalzata dalli signori Generali e loro officiali che proseguissero la vittoria, fece bottino non solo di denari, argenti ed ori, ma pure di molti superlettili e bagaglio tutto delli Spagnuoli. E vi furono molti fanti de’ più infimi che rubbarono quantità di doble d’oro in detto campo, perloché sba[n]dato tutto l’esercito, attendendosi non più all’esercitio militare coll’obedienza de’ signori comandanti, ma al bottino» (Barca). Pratica ancora diffusa cento anni più tardi (all’epoca delle guerre napoleoniche), attraverso la quale le truppe arrotondavano le magre paghe erogate, il saccheggio tradisce dunque condizioni disagiate nell’ambito delle truppe maggioritarie nello schieramento austro-piemontesi, quelle Imperiali, che evidentemente nel 1718 non usufruivano di condizioni economiche vantaggiose.

A parlare di bottino è anche il conte Pezuela, il quale lamentava nel suo manoscritto (f. 247 r.)  la sottrazione di due cannoni da 24 in dotazione al campo spagnolo, cannoni che gli Imperiali non riuscirono però a portar via a causa dell’assenza di bestiame da traino. Un bottino (botin de las tiendas) che secondo il fondatore del Lusitania «fue nuestra redencion y la ruina de los enemigos» (Primera parte cit, f. 247 v).

La rimonta spagnola Difatti, come ebbe a scrivere lo stesso Barca, il saccheggio, distraendo le truppe Imperiali, favorì la riorganizzazione di quelle spagnole, peraltro soccorse, tra l’altro, dal reggimento di cavalleria Farnese appena giunto a Milazzo assieme al viceré marchese di Lede.  Così prosegue la relazione spagnola: «L’intenzione nemica era quella di avanzare sino alla nostra destra, per assalire la nostra fanteria alle spalle, proprio mentre la loro fanteria l’avrebbe attaccata di fianco. Proposito che, allo scopo di sbaragliare la nostra linea, venne poi messo in atto sia dalla cavalleria che dalla fanteria alemanna, con sforzi straordinari da parte di entrambe. Tuttavia il reggimento di Milano [guidato dal colonnello Don Francesco d’Eboli (1688-1758), ndr], avendo lanciato una scarica di tutta la sua moschetteria sulla cavalleria imperiale, riuscì ad ostacolarla impedendole di eseguire il suo disegno».

La disfatta dei dragoni austriaci Tige comandati dal conte Giulio Veterani (la cavalleria imperiale) si consumò proprio mentre parte della fanteria austro-piemontese tentava, in esecuzione ai programmi iniziali, l’attacco al centro della linea spagnola. Un attacco respinto con fermezza dalla Brigata d’Irlanda, la quale - agli ordini del Cavalier di Lede, fratello del viceré spagnolo, e del diciottenne Don Lucas Fernardo Patiño (malgrado la sua giovane età colonnello anziano della stessa brigata irlandese) - si distinse non poco nel combattimento di Milazzo, ove la rimonta spagnola raggiunse il suo apice con l’intervento (invero sofferto, anche per le difficoltà a battagliare tra i vasti vigneti della Piana) del reggimento Farnese, agli ordini del Duca d’Atri che in questo scontro rimase ferito ad un braccio. Intervento presto seguito - sempre tra i vigneti - da quello degli altri 3 reggimenti di cavalleria (Salamanca e dragoni Lusitania e Batavia). La superiorità spagnola costrinse così alla ritirata le truppe austro-piemontesi.

La riconquista della postazione avanzata di S. Giovanni e le truppe imperiali che si tuffano nel mar di Ponente pur di salvarsi Nel frattempo - alle 8 del mattino - le Guardie Spagnole assieme alle truppe del Castiglia si diedero da fare per riconquistare la casa de S. Juan. Agli ordini del futuro viceré del Perù, il già citato José de Armendáriz y Perurena, sconfissero due battaglioni spagnoli, riconquistando l’avamposto (ms. del Pezuela, f. 248 v). Ma c’è di più. Presidiata dalle Guardie Spagnole, la riconquistata casa de S. Juan prese di mira la ritirata delle truppe Imperiali sconfitte dalla Brigata d’Irlanda. Così la relazione spagnola: «poiché le truppe alemanne sconfitte dalla Brigata d’Irlanda furono costrette a passare, durante la propria fuga, davanti alle postazioni occupate dalle Guardie Spagnole, di conseguenza furono così vessate dal continuo fuoco che queste ultime fecero su di loro da essere costrette a gettarsi in mare a sinistra della nostra linea».
 
José de Armendáriz y Perurena (fonte: Ministerio de Cultura del Perù, Museo Nacional de Arqueología, Antropología e Historia del Perú

 






 



Il tuffo in mare delle truppe imperiali caratterizza inequivocabilmente la disfatta austro-piemontese. Un salvataggio in mare annotato anche in altra cronaca coeva tradotta dal francese dallo scrivente (vedasi §5), ma taciuto dal conte Pezuela, il quale fornisce tuttavia altri particolari interessanti. Come quelli relativi alle bandiere sottratte al reggimento di fanteria imperiale Toldo da due suoi uomini: Juan Gil di Valverde del Camino (comune dell’Andalusia, sud della Spagna) e Tommaso Villa, sardo di Alghero, entrambi facenti parte dei Dragoni di Lusitania. Per la conquista delle due bandiere nemiche - che come si è scritto nel precedente nostro saggio su cavalleria e dragoni furono successivamente consegnate in custodia alla basilica de Atocha di Madrid - i due militari furono promossi alfieri, grado che però non fu loro assegnato a causa della morte di entrambi - di lì a poco - in altro combattimento (cfr. ms. del Pezuela, f. 249 v).

Bilancio della battaglia Terminato il combattimento - che fece esaurire le scorte delle munizioni - iniziò la conta delle perdite. Così annotava la relazione spagnola: «la battaglia durò circa tre ore con coraggio ed abilità d’ambo le parti. Una durata che provocando l’esaurimento di polvere e munizioni per entrambe le armate - quantunque alcuni degli imperiali avessero ancora colpi da sparare - costrinse le truppe a battersi a colpi di baionetta e di spada, facendo versare molto sangue ad una parte ed all’altra». Il conte Pezuela, nell’aumentare di un’ora la durata complessiva della battaglia, riportava nel suo manoscritto (f. 250 v.) - per le truppe spagnole -  un migliaio tra morti e feriti e 300 prigionieri catturati perlopiù nelle fasi iniziali della battaglia (perdita avamposto di S. Giovanni). Annotava tra gli alti graduati uccisi il colonnello del Guadalajara Don Joseph Almazan ed il colonnello del Borgogna Don Francisco Doetinghem, non mancando di segnalare quelle unità che più di tutte soffrirono perdite nella giornata del 15 ottobre, ossia i battaglioni Guadalajara, Milano, Borgogna, i Dragoni di Lusitania ed il reggimento di cavalleria Salamanca.

Per le truppe nemiche il Pezuela riportava invece 3.000 uomini tra morti e feriti e più di mille prigionieri, tra i quali il conte Giulio Veterani, catturato dallo spagnolo Don Christoval José de Soria y Escobar (?-1752), marchese di Bondad Real nonché tenente del Farnese, reggimento che appena giunto a Milazzo dovette ben presto trasferirsi dalla destra alla sinistra del campo spagnolo, ove necessitavano rinforzi. La disfatta del Veterani provocò l’immediata rimozione del Carafa dal vertice del comando imperiale di Milazzo, presto affidato allo Zumjungen. Sin qui dunque il dettagliato resoconto del conte Pezuela, che riporta persino le dichiarazioni rilasciate dal conte Veterani a giustificazione del proprio infelice operato milazzese, che indica i dragoni diretti da quest’ultimo con la denominazione Tixch in luogo di Tige e che con tutta probabilità indica erroneamente la presenza dei battaglioni di Cordova, Burgos e Navarra, visto che nei resoconti degli avvenimenti non si ha traccia ulteriore di tali unità.

Quanto alle perdite riportate dalla dettagliatissima relazione spagnola, lungi dal citarle, ci limitiamo a rimandare alla lettura delle ultime sue pagine, dove per ogni reggimento sono elencati i singoli nominativi degli ufficiali spagnoli morti, feriti e prigionieri e degli ufficiali austro-piemontesi catturati.

Conviene ricordare che la conta dei prigionieri presentava non poche difficoltà a causa del fenomeno della diserzione, che spingeva diversi imperiali ad arruolarsi tra le truppe spagnole «anche subito dopo la battaglia».

Infine, tra i più alti in grado deceduti bisogna ricordare il colonnello dei Dragoni di Batavia cavaliere De Poet, deceduto - a destra della linea spagnola - mentre coi suoi era intento a proteggere il forte della Tonnara di Milazzo che le truppe spagnole stavano terminando di approntare per indirizzare le artiglierie in direzione del porto (ms. del Pezuela, f. 245 r).

Il comunicato della vittoria A battaglia conclusa venne diramato una sorta di bollettino della vittoria (cfr. in coda §1 e §2), un annuncio redatto nella vicina Barcellona Pozzo di Gotto lo stesso 15 ottobre 1718, nel quale Don Pietro Antonio de Ruedo, «capitano ordinario del Vallo», esordiva con queste parole: «Essendosi oggi col favor d’Iddio e vigore delle nostre armi rintuzato l’orgoglio de’ nemici fattisi forti per mare e per terra in Milazzo, espugnandoni un numero considerabile d’essi, che ne sortirono, ed usarono con l’assistenza de’ loro aleati attaccarci il nostro campo allo spuntar del giorno, doppo avere Sua Eccellenza il signor Marchese di Lede, Viceré di questo nostro Regno, coronate le sue accertate disposizioni con la compita vittoria».
 

Le altre fonti della battaglia del 15 ottobre La lunga relazione spagnola degli avvenimenti è stata successivamente ripresa fedelmente nei manuali di storia apparsi nella prima metà del Settecento, in particolare dal Tomo segundo de los comentarios de la guerra de España, pubblicato da Vicente Bacallar y Sanna appena un anno prima della sua morte avvenuta nel 1726, e dalla Historia Civil de España del sacerdote Nicolas de Jesus Belando (pubblicata a Madrid nel 1740).

Alla relazione suddetta ha pure attingo la breve corrispondenza da Napoli apparsa sulla Gazzetta di Bologna l’8 novembre 1718.

Altri resoconti del combattimento di Milazzo del 15 ottobre sono stati tradotti dal francese da chi scrive. Riportati in coda al presente contributo (§3, §4 e §6), ripropongono in maniera succinta le fasi del combattimento, dall’iniziale vantaggio austro-piemontese, al bottino ed alla rimonta spagnola. Tra tutti, la lettera indirizzata da Napoli dall’ammiraglio Byng il 9 novembre 1718 impressiona per i numeri delle truppe destinate a Milazzo. Non mancano poi (alla fine del §6, lettere di Livorno e Firenze) notizie di dubbia attendibilità, come quelle che riferiscono di 2.000 unità di truppe siciliane al fianco degli Spagnoli o degli abitanti di Milazzo schierati in battaglia al fianco degli austro-piemontesi.
 
 

Feriti e prigionieri dopo la battaglia Il Corriere Ordinario del 19 novembre 1718 fornisce questi particolari interessanti: «Oggi [18 ottobre 1718, ndr] havemmo 3 trafuggitori, li quali confermarono la gran perdita dell’Inimico sofferta nella nostra sortita, con aggiunta ch’il Cavalier di Lede, fratello del Comandante Generale Angiuino, era stato ferito nell’Azzione, e restativi morti molti uffiziali. E che molti feriti erano andati a Messina, ove fosse anche mandato il sig. Generale Veterani con altri uffiziali nostri. Giaché non se n’è potuto spuntare la permutazione contro il Maresciallo di Campo angiuino Conte Svereghem prigioniere» (cfr. Avisi italiani ordinari e straordinari dell’anno 1718, Vienna, appresso Gio. Van Ghelen).

Lo stesso Corriere Ordinario del 4 gennaio 1719 ricorda che «un Generale Cesareo, ch’era di quartiere nel Parmeggiano, è passato per ordine Cesareo a Melazzo, per comandare la cavalleria come Tenente Maresciallo in luogo del sig. Generale Veterani, priggioniere de’ Spagnuoli». Successivamente, in una corrispondenza inviata da Reggio Calabria in data 21 febbraio 1719, il suddetto periodico a proposito del Veterani riferiva quanto segue: «alli 16 il vascello S. Leopoldo, partito da Napoli per Melazzo, non potendo per il cattivo tempo ivi approdare, si portò qui, e tre tartane di sua conserva restarono indietro. L’una e l’altre tengono sopra 400 priggionieri angiuini per farsi cambio con altretanti tedeschi, fra’ quali incluso il Generale Veterani». Infine, dal Corriere Ordinario dell’8 aprile 1719 si apprende che il 2 marzo precedente, «nella scritta permutazione delli priggionieri nostri e nemici, s’era dimenticato di dire ch’il Sig. Ten. Maresciallo Cesareo Conte Veterani non vi fu compreso, per non trovarsi nelle nostre mani alcun generale inimico di pari rango, talmente ch’esso Nemico n’attendeva prima l’ulterior risoluzione dalla Spagna, havendo noi all’incontro ritenuto il suo Maresciallo di Campo sig. Zwereghem».

Le cronache ulteriori ed il manoscritto del Pezuela (f. 250 r.) ci informano della partenza via mare (fine gennaio 1719) del Duca d’Atri assieme al marchese Don José Patiño Rosales. Mentre quest’ultimo era diretto in Spagna, il primo si sarebbe recato invece dallo zio cardinale a Roma per curare la profonda ferita al braccio, procuratasi - come si è detto - durante la battaglia del 15 ottobre. Come si evince dal Corriere Ordinario dell’8 marzo 1719 i due giunsero a Civitavecchia il 12 febbraio, dove lo zio cardinale li avrebbe accolti conducendoli in serata a Roma. «Dicesi - concludeva l’articolo - che il prefato Duca d’Atri passi a’ Bagni di Monpeglieri, capitale della Linguadocca inferiore, per curarsi d’una ferita avuta nella Battaglia di Melazzo» (cfr. Avisi italiani ordinari e straordinari dell’anno 1719, Vienna, appresso Gio. Van Ghelen).

 









 

Appendice

(trascrizione e traduzioni a cura di Massimo Tricamo)

 

                                                                             § 1

Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718: annuncio della vittoria spagnola

 

Essendosi oggi col favor d’Iddio e vigore delle nostre armi rintuzato l’orgoglio de’ nemici fattisi forti per mare e per terra in Milazzo, espugnandoni un numero considerabile d’essi, che ne sortirono, ed usarono con l’assistenza de’ loro aleati attaccarci il nostro campo allo spuntar del giorno, doppo avere Sua Eccellenza il signor Marchese di Lede, Viceré di questo nostro Regno, coronate le sue accertate disposizioni con la compita vittoria.

Ni è parso non meno, convenendo al servizio di Sua Maestà, di consolar ne le Vostre Signorie Spettabili e Magnifici con questa pronta notizia che circolar e per mio mezzo spedisce, acciò vogliano rendere all’Altissumus le dovute grazie, come pure immediatamente farne publica festa nelle loro città e terre, affine di non togliere quel publigo, che deve regare a’ veri vassalli del nostro Monarca Cattolico, sempre invitto, una cossì considerabile azione nonché vantaggiosa al ben publigo, riservandosi Sua Eccellenza a maggior commodo il darne alle Vostre Signorie Spettabili e Magnifici il più distinto avviso del fatto.

Intanto io sono sopra modo sodisfatto d’essere relattore degli ordinattioni di Sua Eccellenza in occasione di cossì fausto successo, come d’aver l’onore di dirmi

 

Delle Vostre Signorie Spettabili e Magnifici

 

Barcelona 15 ottobre 1718

(…)

Don Pietro Antonio de Ruedo, capitano ordinario del Vallo [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 170r]

 

 

§ 2

 

Bando adottato dai giurati in esecuzione del provvedimento precedente: si dispone un ciclo di festività con la celebrazione del Te Deum nella Cattedrale e con l’allestimento di luminarie notturne

Bando e comandamento d’ordine delli Spettabili Giurati di questa deliziosa e fedele Città di Santa Lucia

Essendosi jeri col favore d’Iddio e vigore dell’armi del nostro invittissimo Re Filippo Quinto (Dio Guardi) rintuzato l’orgoglio de’ nemici fattesi forti per mare e per terra in Melazzo, espugnandosi un numero considerabile di essi, che ne sortirono ed usarono con loro assistenza dell’aleati attaccarci il nostro campo allo spuntar del giorno, doppo avere Sua Eccellenza il Signor Marchese di Lede, viceré di questo nostro fidelissimo Regno, coronato le sue accertate disposizioni con la compita vittoria.

Per il che con lettere del spettabile Don Pietro Antonio Rueda, in data delli 15 del medemo, ci fa a sentire che da noi, con tutta la Città, si dovessero rendere le grazie al Sommo Motor del Tutto con far publica festa.

Pertanto in virtù del presente si porta alla notizia d’ognuno che per questa mattina appunto si celebra la solennità con cantarsi il Te Deum in questa nostra Matrice e Cattedrale per assistere alla funzione sudetta, e questa sera al far della notte ogn’uno procuri di far la solita luminaria, con mostrarsi vero e fedelissimo vassallo verso la Majestà Cattolica di Filippo Quinto (Dio Guardi) e non altrimente unde

Don Franciscus Cucuzza Iuratus

Don Fortunatus Sisilli Iuratus [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 168r]

 

 

                                                                             § 3

La battaglia del 15 ottobre 1718 in una lettera (tradotta dal francese) dell’Ammiraglio Byng

 

Abbiamo ricevuto in questa città la seguente lettera dell’Ammiraglio Byng, datata da Napoli, del 9 novembre scorso.

 

«Il 6 ottobre feci vela da Reggio con 5 vascelli da guerra e trasportai a Siracusa le truppe piemontesi che avevano abbandonato la Cittadella di Messina (…) Dopo il mio arrivo, ho appreso che c’era stata un’azione a Melazzo tra gli Imperiali e gli Spagnoli; e che i primi avevano cacciato gli altri dai loro trinceramenti, prendendo possesso del loro campo. Ma che alcune delle loro truppe [imperiali, ossia austriache, ndr], credendosi certe della vittoria, s’erano date al saccheggio, circostanza che fu per loro funesta. Poiché gli Spagnoli, prendendo vantaggio, essendo sopraggiunte da Messina le truppe del Marchese di Lede, piombarono sugli Imperiali, respingendoli nella città.

In questa azione gli Alemanni hanno perduto circa 1200 uomini, uccisi, feriti o fatti prigionieri; e stando alla voce in circolazione gli Spagnoli ne hanno perduto più di 2000, oltre a 250 prigionieri.

Il Viceré ha presieduto diverse sedute sui mezzi più opportuni per rinforzare gli Imperiali a Melazzo. Le truppe di Milano, imbarcate a Genova, formate da più di 6000 uomini, sono attese in tempi brevi. Qui sono stati imbarcati più di 1700 Imperiali e 900 Piemontesi, giunti da ultimo da Siracusa col marchese d’Andorno. Quando queste  truppe sbarcheranno a Melazzo, formeranno assieme a quelle che già si trovano in questa Piazza un corpo di circa 16 mila uomini, di cui 1800 di cavalleria. È stato già deciso di attaccare gli Spagnoli nelle loro linee, da loro stessi ben fortificate, quando arriveranno i rinforzi. Il contrammiraglio Delaval è in attesa di vento favorevole per far vela da qui verso l’Inghilterra, con lo Shrewsbury, il Doisetshire ed un brûlet [unità navale impiegata per incendiare le imbarcazioni nemiche, ndr]» [Mercure Historique et Politique, mois de décembre 1718, chez les Freres Van Dole, La Haye 1718, pagg. 681 e 682].

 

 

§ 4

La battaglia del 15 ottobre 1718 nelle cronache del tempo (traduzione dal francese)

 

Napoli, lì 6 novembre [1718, ndr].

 

Arrivò qui il 26 scorso un tenente inviato da Melazzo dal Generale Conte di Caraffa, con la notizia che s’era deciso in un consiglio di guerra d’attaccare gli Spagnoli. Le nostre truppe, composte da 8 battaglioni e 6 squadroni, attaccarono il nemico lo scorso 15 ottobre all’alba. Erano comandate dal Generale Caraffa e quelle piemontesi, al numero di 500, dal Cavalier Borola [Barolo, ndr]. La battaglia fu in un primo momento molto sanguinosa ed accanita, ma - nonostante il coraggio degli Spagnoli - i nostri li cacciarono ovunque, forzando le loro linee ed impadronendosi dei loro cannoni e del loro accampamento. Le nostre truppe vittoriose, intente ad inchiodare i cannoni del nemico, a minare qualche fortificazione e a darsi al saccheggio, diedero intanto agli Spagnoli il tempo di riunirsi. Questi, essendo stati rinforzati in tempo da 5 battaglioni, obbligarono a loro volta gl’Imperiali ed i Piemontesi ad arretrare, costringendoli per la maggior parte a ritirarsi in disordine a Melazzo e sbaragliando i rimanenti in mare.

I nostri generali non riuscirono a ristabilire questo disordine che ci costò 800 uomini e più di 200 prigionieri, tra i quali si annoverano il Generale Veterani ed il Cavalier Borola. Da parte loro gli Spagnoli persero in questa azione  circa 2000 uomini, tra morti, feriti e prigionieri. Tra questi ultimi figura il Generale Conte di Zaveghem, che rimase pure ferito, oltre ad un tenente colonnello e a 20 officiali.

Il 16 le nostre truppe continuarono a lavorare alle fortificazioni di Milazzo e gli Spagnoli a tirare una linea fino al mare, tenendosi sempre pronti alla battaglia (…). [Le Nouveau Mercure, novembre 1718, Chez Guillaume Cavelier, Paris 1718, pagg. 149 e 150]

 

 

§ 5

Relazione, tradotta dallo spagnolo [ma qui tradotta a sua volta dal francese, ndr] di quanto accaduto all’Assedio di Milazzo fin dalla presa di Messina da parte delle truppe spagnole

 

Messina, lì 1 novembre 1718

 

La Cittadella di Messina ed il Castello del S. Salvatore furono costretti ad arrendersi agli Spagnoli per capitolazione il 29 settembre scorso. La guarnigione, composta da truppe alemanne e piemontesi, fu trasportata - in conformità agli articoli convenuti - a Reggio, in Calabria.

Dopo la resa d’una Piazza così importante, il Marchese di Lede, viceré di Sicilia e comandante in capo delle truppe di Sua Maestà, diede ordine per la conquista di Milazzo, che già era stata bloccata. Ragion per cui ordinò di condurvi un carreggio d’artiglieria che avrebbe dovuto sempre costeggiare il mare. E mentre questa artiglieria era in marcia, essendosi avvicinati i vascelli nemici alla costa per disturbarla, fu fatta rivoltare contro tali vascelli, costringendoli immediatamente ad allontanarsi con delle perdite. Le truppe impegnate nel blocco iniziarono così i lavori dirimpetto alla Piazza per assediarla secondo le regole. Nel frattempo giungevano al campo da Messina di giorno in giorno altre truppe, tanto di fanteria che di cavalleria, con ogni sorta d’armamento.

La città alta ed il Castello sono difese dai Piemontesi, mentre la città bassa dagli Alemanni, per un numero di 2000 unità. Queste sono quelle stesse che abbandonarono la Cittadella di Messina, ad eccezione tuttavia delle truppe di Savoia che da Reggio furono invece trasferite in parte a Siracusa ed in parte a Trapani. Il 13 ottobre, mentre l’armata spagnola eseguiva i lavori necessari per piazzare le batterie, la nostra artiglieria era già arrivata all’altezza di Castanea, tra il Faro e Melazzo. Due bastimenti inglesi e 3 Galere di Napoli, che scortavano diverse tartane cariche di truppe alemanne, si fecero vedere e fecero nuovamente un altro tentativo per disturbare la marcia della detta artiglieria. Ma i nostri, avendo puntato - così come nella precedente occasione - i propri cannoni contro quei navigli, fecero un fuoco così imponente da farne saltare in aria uno carico di 300 Imperiali, dei quali soltanto 13 riuscirono a salvarsi, anche se qualcuno tra loro era ustionato per metà corpo. Tutti i sopravvissuti una volta giunti a terra si arresero ai nostri.

D’altra parte, volendo i nemici vendicarsi dei Liparoti che continuamente li osteggiavano, inviarono vascelli inglesi, galere e balandre che apparvero davanti a Lipari il 6 ottobre. I comandanti di questa flotta proposero in un primo tempo agli abitanti di sottomettersi a Carlo VI, se non avessero voluto vedere la propria città ridursi in cenere. I Liparoti risposero che riconoscevano solo Filippo V come loro signore e sovrano, dichiarandosi nel contempo pronti a difendersi. Dopo questa risposta i nemici lanciarono qualche bomba contro la Piazza, ma qualche tempo dopo il fuoco del cannone dei bastioni li costrinse ad allontanarsi, ottenendo come unico risultato di tale spedizione il danneggiamento di alcune balandre, oltre ad aver innalzato più di prima l’animosità degli isolani nei loro confronti.

Il nostro Viceré - avendo ricevuto avviso che altre 40 tartane cariche di truppe alemanne erano partite la notte di giovedì 13 da Napoli per dirigersi verso la Piazza di Milazzo - diede gli ordini opportuni prima di continuare tutti i preparativi destinati al nuovo campo. La notte del 13 ed il mattino del 14 il nemico sbarcò i propri convogli di truppe a Ponente di questa Piazza. Occorre notare che erano state già erette le nostre batterie lungo la costa di Levante.

Ecco la situazione di Milazzo. Questa Piazza è attaccata alla terraferma, alla testa d’una sorta di penisola che avanza 2000 [metri, ndr] in mare e che costituisce il Promontorio o Capo di questa città, ma carente di larghezza. La città alta o città murata è posta sulla prima collina di questo Capo, in prossimità della terraferma, ed è sormontata da un Castello che sorge su un’eminenza. All’ingresso vi si trova un sobborgo, ove si trova la città bassa che è bagnata dai due mari di Levante e Ponente. Ed è proprio davanti a questa città bassa che noi disponiamo presentemente i nostri attacchi.

Il giorno 14 ottobre i generali alemanni, avendo saputo che un corpo composto soltanto da 6000 spagnoli s’era messo in marcia dopo la presa della Cittadella di Messina per assediare Melazzo, decisero di trasportare tutte le loro truppe, distribuite lungo la costa della Calabria, sino al Promontorio di questa Piazza, riunendole al resto della guarnigione che aveva difeso le fortezze di Messina. L’insieme di queste truppe consisteva in 8000 uomini e non appena furono riunite  i loro generali condussero l’ala destra verso il mare, disponendo la loro linea sinistra dalla parte della Piazza, lasciando in mezzo il convento di S. Papino. Quest’ultima linea era difesa da un grande trinceramento di terra. Con questa disposizione avevano maturato l’intenzione d’attaccare e rovesciare i corpi delle truppe spagnole, che occupavano la Piazza lungo una stessa linea da un mare all’altro. Erano convinti di farcela, tuttavia prima che le truppe dell’armata spagnola avessero il tempo di fortificare questa linea. Ed al tempo stesso decisero di fortificare il proprio campo, non solo per impedire le operazioni dell’assedio, ma anche per tentare essi stessi qualche attacco considerevole. Un tal disegno, quantunque ben ideato, tuttavia mal eseguito, fu ben presto compreso dai generali spagnoli non appena questi osservarono lo sbarco d’un convoglio così numeroso. Allo scopo di far fallire quest’azione, il signor Marchese di Lede, accompagnato da diversi generali, marciò a mezzanotte con un reggimento di cavalleria, dopo aver ordinato che la Brigata d’Irlanda e le Guardie Vallone lo seguissero. Tale fanteria gli si unì il 14 e all’alba del 15 ottobre i nemici uscirono dal proprio campo. Si schierarono in ordine di battaglia alla testa dei rispettivi trinceramenti, con un corpo di 11 battaglioni alemanni, d’un battaglione savoiardo e con 800-900 cavalli, tutti al comando del Generale Caraffa. Il conte Veterani, Tenente Generale che comandava la cavalleria, fece avvicinare verso terra, alla sinistra della linea spagnola, qualche galera e truppe da sbarco per disturbare questa linea col fuoco delle artiglierie. Sulla destra fece fare la stessa manovra ad alcuni bastimenti leggeri, seguiti da diverse feluche, con la mira d’intimorire e tenere in scacco ovunque gli Spagnoli, simulando uno sbarco. All’alba gli Alemanni attaccarono le nostre postazioni avanzate, che erano difese da diversi plotoni provenienti da parecchi reggimenti, plotoni che, dopo una vigorosa resistenza, venendo sopraffatti dalla superiorità del nemico, furono disfatti. Fu imprigionata quella parte dei plotoni che rimase, mentre l’altra parte ebbe il tempo di riguadagnare il campo.

Dopo questo primo vantaggio, gli Alemanni, marciando in buon ordine, piombarono con notevole audacia sulla sinistra degli Spagnoli e sul loro centro. I reggimenti di Milano, Guadalaxara, Castiglia, Aragona e Utrecht occupavano queste postazioni , attendendo il nemico di piede fermo, per poi respingerlo con pari ardimento. Fin quando, trovandosi sopraffatti da gran numero degli Alemanni, si videro costretti ad abbandonare due volte il proprio campo. I nemici, avanzando per occuparlo, ne furono respinti e cacciati altrettante volte: gli Spagnoli infatti tornarono sempre alla carica per riguadagnarlo. Senonché, essendo stata forzata questa linea sinistra per la terza volta, la cavalleria nemica ebbe agio finalmente di penetrare nel campo degli Spagnoli.

L’intenzione nemica era quella di avanzare sino alla nostra destra, per assalire la nostra fanteria alle spalle, proprio mentre la loro fanteria l’avrebbe attaccata di fianco. Proposito che, allo scopo di sbaragliare la nostra linea, venne poi messo in atto sia dalla cavalleria che dalla fanteria alemanna, con sforzi straordinari da parte di entrambe. Tuttavia il reggimento di Milano, avendo lanciato una scarica di tutta la sua moschetteria sulla cavalleria imperiale, riuscì ad ostacolarla impedendole di eseguire il suo disegno.

La fanteria nemica, credendo di aver in mano la vittoria, avendo forzato la nostra sinistra, avanzava audacemente per attaccare - eseguendo il suo primo piano – il centro della nostra linea.

Nel frattempo le Guardie Spagnole, avendo abbandonato la loro postazione a sinistra, marciarono in corpo di battaglia per impadronirsi delle postazioni avanzate, nelle quali i nostri plotoni erano stati sconfitti all’inizio della battaglia. Anche la brigata d’Irlanda ebbe ordine di avanzare per fronteggiare l’irruenza dei nemici e fece una scarica di moschetteria attraverso il fianco dei loro battaglioni. I nostri sguarnirono sempre la destra dei nemici per potere attaccare e spezzare il centro degli stessi. Ciò che, una volta eseguito opportunamente e coraggiosamente, mise in confusione il nemico, poco dopo assalito dal reggimento di cavalleria Farnese, comandato dal Duca d’Atri, da quello di Salamanca e dai Dragoni d’Olanda [Batavia, ndr] e Portogallo [Lusitania, ndr]. Sebbene tale assalto ebbe luogo nei vigneti e malgrado le nostre truppe avessero subito tre pesanti cariche, nondimeno queste ultime costrinsero il nemico a rifugiarsi nel suo campo e nella Piazza di Melazzo, ove fu cacciato con le baionette e le spade in quella che fu una carneficina.

Tornando alle Guardie Spagnole, queste attaccarono due battaglioni che i nemici avevano piazzato lungo le postazioni avanzate, nelle quali gli stessi nemici - allo scopo di sostenere i propri uomini ed accorrere ove sarebbe stato necessario - avevano cacciato via i nostri plotoni. Ma gli Alemanni furono ancora una volta destinati a soccombere, venendo inseguiti dalle nostre Guardie a colpi di baionetta sino ai loro trinceramenti. E poiché le truppe alemanne sconfitte dalla Brigata d’Irlanda furono costrette a passare, durante la propria fuga, davanti alle postazioni occupate dalle Guardie Spagnole, di conseguenza furono così vessate dal continuo fuoco che queste ultime fecero su di loro da essere costrette a gettarsi in mare a sinistra della nostra linea. Infatti, coloro i quali non poterono o non ebbero il tempo di raggiungere la Piazza o i propri trinceramenti, ebbero nella fuga a sinistra l’unica ancora di salvezza. Fanteria e cavalleria nemica patirono assai la disfatta, malgrado il fuoco che le loro galere indirizzavano alla destra del campo spagnolo, così come abbiamo avuto modo di accennare.

La battaglia durò circa tre ore con coraggio ed abilità d’ambo le parti. Una durata che provocando l’esaurimento di polvere e munizioni per entrambe le armate - quantunque alcuni degli imperiali avessero ancora colpi da sparare - costrinse le truppe a battersi a colpi di baionetta e di spada, facendo versare molto sangue ad una parte ed all’altra.

La perdita dei nemici, per loro stessa ammissione, ammonta a 3000 uomini tra morti, feriti e prigionieri, comprendendo 800 granatieri, il cui numero ascendeva a circa 1000 unità all’inizio della battaglia. Si stima che la loro perdita sia stata ancor più grande, vista la loro propensione a sminuire.

La loro cavalleria ha perso circa 300 uomini, tra morti, feriti e prigionieri, con 150 cavalli, poiché si sa che altri 200 cavalli giunsero nella Piazza disarcionati. Tutti i piemontesi che uscirono dalla città per combattere restarono sul campo di battaglia.

Non si è in grado di conoscere con esattezza il numero dei prigionieri: avendo parecchi preso partito per diversi reggimenti della nostra armata (anche subito dopo la battaglia) il conteggio ne risulta  difficile. Ma si suppone che ammonti a 1000, compresi 250 feriti in cura negli ospedali. Si contano inoltre 58 ufficiali di vario grado catturati assieme al conte Veterani, comandante generale della cavalleria. Il numero degli ufficiali morti è tutt’altro che esiguo. Si annovera tra gli altri un maresciallo di campo. Sono state sottratte loro due bandiere (loro ammettono averne perse tre o quattro) e qualche stendardo.

La perdita degli Spagnoli non ammonta che a 1000 uomini. Si contano circa 300 morti, circa 400 feriti, 100 prigionieri e altrettanti dei plotoni catturati dal nemico.

Tra i nostri che si sono distinti in questa gloriosa giornata - dopo il Marchese di Lede, capitan generale, che si fece vedere ovunque in mezzo al fuoco più accanito, tanto alla testa della fanteria che della cavalleria - si annoverano:

I. il signor di Lede, Tenente Generale di Cavalleria, il quale è fratello cadetto del marchese di Lede capitan generale e che fu pericolosamente ferito da una palla che gli attraversò contestualmente il braccio ed il costato [trattasi di Philippe Emmanuel Bette, cavalier di Lede, ndr];

II. Don Giuseppe d’Armandaris, Tenente Generale, che essendo di guardia fu il primo che entrò in azione, accorrendo ovunque e dando gli ordini necessari;

III. Don Girolamo de Solis, Maresciallo di Campo, che è sempre stato alla testa della fanteria;

IV. il Conte di Clims [Glimes; più precisamente: Don Ignacio Francisco de Glimes de Brabante, Conte di Glimes, ndr], Tenente Generale, che s’era messo alla testa del reggimento di Guardie Vallone, di cui è Tenente Colonnello;

V. il Conte di Roy de Villé, che fece come il signor di Réves, maresciallo di campo;

VI. il Conte di Zaveghem [Zueveghem, ndr], Maresciallo di Campo, il quale, come abbiamo detto, difese coi plotoni e con tutta l’audacia immaginabile le postazioni avanzate, fin quando fu ferito e fatto prigioniero [trattasi di Carlos Jose de Jauche y de Archies, nato a Gantes (Paesi Bassi) il 12 dicembre 1681, capitano comandante delle Reali Guardie Vallone. Morì il 17 settembre 1734, ndr];

VII. Don Francesco d’Eboli e Don Francesco Michele de Pueyo, colonnelli dei reggimenti di Milano e di Castiglia; Don Emanuele de Sala, Colonnello del reggimento di Aragona ed in particolare Don Giuseppe d’Almazan, Colonnello del reggimento di Guadalaxara, che essendo stato subissato dai nemici fu ferito mortalmente, così come il suo tenente colonnello ed il suo sergente maggiore; Don Carlo Francesco Doetigghem, anch’egli mortalmente ferito; Don Luca Ferdinando Patigno [Don Lucas Fernando Patiño (1700-1757), ndr], Colonnello del reggimento d’Irlanda che comandò, come colonnello più anziano, la brigata irlandese che si distinse così tanto; il suo tenente colonnello, essendo stato pericolosamente ferito con tre capitani morti; il Duca d’Atri, Colonnello del Reggimento di Cavalleria Farnese, si procurò una profonda ferita al braccio.

Non è possibile che in un’azione così sanguinosa ed ostinata non ci siano stati tra i morti ed i feriti parecchi capitani ed ufficiali subalterni, tanto spagnoli che irlandesi. La nostra fanteria s’è superata grazie al suo valore ed alla sua audacia, costringendo il nemico ad ammettere di non aver mai visto delle truppe battersi con tanto coraggio e far un fuoco così impetuoso.

Occorre osservare che i nemici si credettero così certi della vittoria da dar incarico ad alcuni padroni di barca maltesi, affinché portassero ben presto a Messina ed in altre località la notizia della disfatta dell’armata spagnola.

Poco dopo questa azione, le Guardie Vallone, la Brigata di Savoia ed altri corpi di cavalleria, dragoni e fanteria cominciarono a giungere al campo.

 

Numero degli ufficiali catturati, uccisi o feriti dalla fanteria spagnola

Due ufficiali generali, uno ferito ed uno prigioniero.

Ufficiali delle Guardie Spagnole: un morto e 2 prigionieri

Reggimento di Castiglia: 3 feriti ed un prigioniero

Reggimento di Guadalaxara: 4 morti, 13 feriti e 3 prigionieri

Reggimento di Borgogna: 8 feriti

Reggimento di Milano: 5 feriti

Reggimento d’Aragona: un morto, 5 feriti

Reggimento d’Irlanda: un morto, 5 feriti

Reggimento d’Ultonia: 4 morti, 5 feriti

Reggimento d’Ibernia: 4 morti, 10 feriti

In tutto 16 ufficiali morti, 52 feriti e 7 prigionieri

 

Numero degli ufficiali catturati, uccisi o feriti nella Cavalleria e nei Dragoni

Reggimento Farnese: il colonnello Duca d’Atri, ferito, 7 altri feriti e 2 morti

Reggimento di Salamanca: 5 feriti e 2 morti

Reggimento di Batavia o Olanda: 3 feriti, 2 morti ed un prigioniero

In tutto 19 feriti, 11 morti ed un prigioniero

 

Ufficiali e soldati nemici feriti

3 capitani, un tenente, 4 sotto-tenenti e 250 soldati

 

Ufficiali prigionieri

Il Tenente Generale conte Veterani, 5 capitani, 8 tenenti, 2 sotto-tenenti ed un sergente

In tutto 8 ufficiali e 250 soldati feriti, con 17 ufficiali prigionieri [Le Nouveau Mercure, novembre 1718, Chez Guillaume Cavelier, Paris 1718, pagg. da 152 a 165]

 

 

§ 6

Cronache varie sulla battaglia del 15 ottobre tradotte dal francese ed apparse sul Mercure nei mesi di novembre e dicembre 1718.

 

Si pensa attualmente che l’Ammiraglio Byng svernerà con la sua flotta nel Porto di Melazzo, sia perché può contenere in sicurezza 24 vascelli da guerra, sia per facilitare i progetti dell’Imperatore, ma anche per non esporsi nei mari di Calabria che diventano impraticabili in questa stagione. Si dice che 8 vascelli da guerra spagnoli e sette galere sono in parte a Malta ed in parte a Palermo [Mercure Historique et Politique, mois de novembre 1718, Chez les Freres van Dole, La Haye 1718, p. 499]

 

Si è appreso che il 15 del mese scorso c’era stata presso Melazzo un’azione tra gli Imperiali e gli Spagnoli, che la battaglia era iniziata all’alba ed era durata circa 4 ore. Ma siccome ci sono voci discordanti, occorre attendere maggiori chiarimenti per parlarne con certezza [Mercure Historique et Politique, mois de novembre 1718, Chez les Freres van Dole, La Haye 1718, pp. 508-509]

 

Si manda a dire da questa capitale che è sbarcato presso Melazzo, al comando dei generali Caraffa e Veterani, un buon corpo di fanteria e di cavalleria e che s’era deciso in un consiglio di guerra, che si tenne il 14 del mese di ottobre, di attaccare l’indomani di buon mattino gli Spagnoli nel loro campo. Ecco l’estratto d’una lettera scritta da questa città il 15 ottobre, giorno della battaglia, e della quale noi abbiamo parlato nel Mercure precedente, sembrando assai circostanziata.

«Questa mattina all’alba gli Imperiali, agli ordini del generale Caraffa, sono usciti in due colonne, la prima composta da 6 battaglioni e la seconda da 5, compreso un battaglione di truppe piemontesi ed un reggimento imperiale di Dragoni che ascendeva a mille cavalli. Noi in primo luogo abbiamo sottratto i fortini ai nemici, dove sono stati catturati un maresciallo di campo, 8 o 10 ufficiali e circa 200 soldati. In seguito abbiamo forzato i loro trinceramenti, diventando padroni del loro campo al centro ed alla loro sinistra, dopo un combattimento di 4 ore. Ma i nostri, essendo andati troppo lontano, hanno consentito ai nemici di radunarsi sulla loro destra e di attaccare a loro volta le nostre truppe, obbligandole a rientrare nel proprio campo che si trova fuori dalla città. I nemici peraltro avevano ricevuto questa notte un rinforzo di 7 battaglioni e 2 reggimenti di Dragoni, circostanza che ha impedito una nostra vittoria netta. Noi contiamo parecchi ufficiali e gran numero di soldati feriti. Del battaglione piemontese ci sono 5 ufficiali feriti e circa 40 soldati morti o feriti. Non abbiamo ancora notizie del Generale Veterani, subordinato del Generale Caraffa. E’ increscioso ammettere d’esser stati costretti a ritirarci, peraltro con precipitazione, malgrado avessimo sconfitto i nemici e fossimo stati padroni per 3 ore di parte del loro campo e di 3 loro cannoni (…)» [Mercure Historique et Politique, mois de décembre 1718, Chez les Freres van Dole, La Haye 1718, pp. 609-610-611]

 

Era circolata una voce - giunta al porto di questa capitale con qualche bastimento proveniente dalla Sicilia - secondo la quale i Piemontesi non avevano voluto ricevere le truppe imperiali  a Melazzo, notizia che è stata seccamente smentita dal seguente estratto d’una lettera scritta da Napoli l’otto novembre scorso.

«Giunse ieri in questa città una feluca inviata da Melazzo con alcune lettere del Generale Caraffa dirette al nostro Viceré, nelle quali riferisce a Sua Eccellenza che i Piemontesi avevano ricevuto le truppe imperiali nel Castello e che avevano in primo luogo inalberato lo stendardo imperiale con grande giubilo degli abitanti. Che gli Spagnoli che si trovavano davanti questa Piazza erano pochi ed infastiditi nel proprio campo dalle piogge continue e dai rivoli d’acqua che discendevano dalle montagne. Che quello degli Imperiali aumentava considerevolmente per i frequenti sbarchi. Che le truppe spagnole cominciavano a soffrire penuria di viveri, irritandosi parecchio per il ritardato arrivo del convoglio partito da Barcelona che continuavano ad attendere. E che infine avevano fatto transitare via mare due reggimenti che si trovavano davanti Siracusa e che avrebbero dovuto rinforzare il loro campo vicino Melazzo» [Mercure Historique et Politique, mois de décembre 1718, Chez les Freres van Dole, La Haye 1718, pp. 611-612]

 

Le lettere di Livorno ci informano che 12 bastimenti di trasporto carichi di truppe imperiali imbarcate a Genova, separate da altre dalla tempesta, apparvero il 3 del mese scorso davanti questa città, dove alcuni giorni prima ne erano arrivati sei in rada e s’erano messi all’ancora. Che il giorno 4 altri nove bastimenti da trasporto con 2 vascelli da guerra inglesi, carichi anch’essi di truppe, erano approdati al porto e che - essendo mutato favorevolmente il tempo - s’erano rimessi alla vela insieme agli altri per raggiungere - così si dice - Melazzo. Queste stesse lettere aggiungono che gli Spagnoli, avendo aperto le trincee davanti questa Piazza, cominciarono a colpirla con 28 pezzi di artiglieria e che gli abitanti avevano preso le armi per difenderla assieme alla guarnigione.

Le lettere di Firenze parlano solo dell’azione successa in prossimità di Melazzo tra gli Imperiali e gli Spagnoli coi seguenti particolari.

«7000 imperiali avevano attaccato una postazione vicina, che gli Spagnoli avevano abbandonato per stratagemma. Che essendo stati inseguiti, 2000 siciliani erano usciti da una certa postazione, attaccando a loro volta gl’Imperiali unitamente ad un altro corpo di truppe spagnole agli ordini del Marchese di Lede. Che gli Imperiali erano stati indotti in confusione e cacciati fin sotto il cannone della Piazza, con perdita di 1000 uomini tra morti e feriti e prigionieri. Che il Generale Wallis figurava tra i primi, mentre il Generale Veterani tra gli ultimi. E che gli Spagnoli avevano perduto da parte loro più persone» [Mercure Historique et Politique, mois de décembre 1718, Chez les Freres van Dole, La Haye 1718, pp. 620-621-622]

 
Di seguito la Battaglia di Milazzo nella traduzione francese de Le Nuoveau Mercure del novembre 1718: